Isolation - Brian Wilson e John Lennon: due geni fragili e i loro psico-guru
- Luigi Corvaglia
- 16 ago
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Aggiornamento: 17 ago
Tra l’urlo e l’armonia: anatomia di due dipendenze teraputiche
Luigi Corvaglia
Mama don’t go, Daddy come home.
John Lennon, Mother (1970)
Hold on, John
“Look… it’s you”, disse John Lennon passando il libro a Yoko Ono. Si trattava di The Primal Scream: Primal Therapy, The Cure for Neurosis che nella primavera del 1970 l’editore G.P. Putnam’s Sons cercava di lanciare inviandone copie in anticipo a varie celebrità, tra cui Mick Jagger, Peter Fonda e, appunto, John Lennon. Questi lo ricevette due settimane prima dell’uscita; lo lesse e contattò l’autore, lo psicoterapeuta Arthur Janov.

Nato nel 1924 a Los Angeles da immigrati russi ucraini, veterano della II guerra mondiale, Janov si era laureato alla UCLA (servizio sociale psichiatrico) e aveva acquisito un dottorato a Claremont. Esercitava come teraputa freudiano a Palm Springs. L'illuminazione però gli venne nel 1967 durante una seduta di gruppo quando un paziente raccontò di aver visto una performance d’avanguardia in cui l’artista, in pannolino, gridava “Mommy! Daddy!”; Janov invitò il paziente a fare lo stesso in terapia: questi cadde a terra in uno stato di dolore emotivo intenso e liberatorio. Da lì Janov teorizzò il “dolore primario”: i bisogni infantili negati o frustrati si imprimono e generano il substrato delle nevrosi; l’accesso e la scarica del dolore liberano. Lennon di ferite antiche ne aveva: abbandonato dal padre Freddie, affidato in custodia alla zia Mimi perché la madre, Julia, era instabile, colpito dalla morte della madre quando lui aveva 17 anni; a queste ferite si aggiungevano le crisi attuali: lo scioglimento dei Beatles, le lotte legali, i due aborti di Yoko. Plastic Ono Band è stato l'urlo primordiale di Lennon.
Quell'estate John e Yoko Ono affittarono una casa a Bel-Air (Los Angeles), ai piedi delle Santa Monica Mountains. Il rituale di ogni mattina prevedeva il tè a bordo piscina, qualche appunto per le canzoni che sarebbero poi confluite nell'album, quindi il tragitto in auto verso lo studio di Janov a West Hollywood. Lì John si stendeva in una stanza buia e insonorizzata e gridava a pieni polmoni.

“Ascoltate il suo nuovo album se volete sapere cosa ne ha tratto”, dirà Janov a Rolling Stone riferendesi al suo illustre paziente nel 1971. Aveva ragione. Plastic Ono Band è frutto della terapia di Janov. Un album nudo, scarno, essenziale, dolente e soprattutto estremamente sincero. Il suono è asciutto, quasi live in studio, per lasciare in primo piano la catarsi. I brani sono una radiografia emotiva: Mother si apre con quattro rintocchi funebri e sfocia in un urlo infantile - praticamente una variazione dello stesso urlo ("Mommy! Daddy!") che fu per Janov l'equivalente della mela di Newton: "Mama don’t go, Daddy come home; Hold On è un auto–abbraccio: Lennon consola e dà forza a sé stesso (“Hold on, John”), a Yoko e persino al mondo, ripetendo il mantra “It’s gonna be alright, you’re gonna win the fight”; Isolation è una ballata in cui l'autore mette a nudo il panico esistenziale che la fama non cura. Il vertice concettuale è God (“God is a concept by which we measure our pain”), dove Lennon smonta credenze, miti e icone - inclusi i Beatles - fino alla chiosa: “I just believe in me”.
Heroes and villains

Il 23 dicembre 1964, durante un volo per Houston dove i Beach Boys dovevano esibirsi per un concerto, Brian Wilson fu colto da un violento attacco d’ansia (all’epoca descritto come “nervous breakdown”): piangeva, tremava, non riusciva a controllarsi. Era reduce da mesi di tour massacranti, responsabilità creative crescenti (scrivere, arrangiare, produrre) e un clima familiare e manageriale logorante dopo gli scontri con il padre Murry; si era appena sposato e aveva iniziato a usare marijuana, poi arrivarono LSD e cocaina, elementi che non aiutarono il suo equilibrio.
L’episodio diventò uno spartiacque: poche settimane dopo Brian decise di smettere di andare in tour per restare a casa a scrivere e produrre. Sul palco fu sostituito prima da Glen Campbell (fine ’64–inizio ’65) e poi da Bruce Johnston (da aprile ’65). Questo ritiro gli permise di concentrare le energie in studio e inaugurare la sua fase più innovativa: The Beach Boys Today! e Summer Days (And Summer Nights!!) nel 1965, fino al capolavoro Pet Sounds e al singolo Good Vibrations (1966). In retrospettiva, quel crollo fu insieme il segnale della sua fragilità psichica e la condizione che rese possibile il suo lavoro da architetto sonoro, di cesellatore di suoni.
Il progetto di un album dal titolo Smile, concepito tra il 1966 e il 1967 da Wilson con il paroliere Van Dyke Parks, era nato per essere il capolavoro psichedelico dei Beach Boys, una “teenage symphony to God” capace di superare persino Pet Sounds e di porsi come risposta americana alla apparente inarrestabile supremazia dei Beatles. Wilson, isolato in studio e catturato da un perfezionismo ossessivo, orchestrava sessioni complesse, registrando frammenti e collage sonori che avrebbero dovuto comporre un’opera unitaria, con testi visionari sull’America. Ma il progetto si arenò: le tensioni interne al gruppo, il disaccordo di Mike Love sui testi criptici, le difficoltà tecniche e soprattutto il progressivo crollo psicologico di Wilson — ormai afflitto da allucinazioni uditive e deliri di persecuzione — lo spinsero a interrompere le registrazioni. L’uscita di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles nel giugno 1967, accolto come il nuovo vertice della musica pop, fu per Wilson un colpo devastante, amplificando il suo senso di fallimento. Da Smile nacque, ridotto in una forma minimale, l'album Smiley Smile, mentre l’album originale divenne "il Sacro Graal della musica pop", un’opera ambiziosa e perduta, destinata a vivere per decenni solo in frammenti e leggende.
Le voci nella testa di Brian Wilson comparvero una settimana dopo il primo LSD (a 22 anni): lui stesso ricorderà di essersi nascosto in una stanza, pensando ai suoi genitori, e di aver abbozzato in quello stato alterato ciò che diventerà California Girls, uno dei pezzi più noti del repertorio dei Beach Boys.
Da allora ha provato di tutto — alcol, droghe, farmaci, terapie — senza riuscire a spegnerle quelle voci. In studio spesso si placavano, ma altrove lo insultavano e minacciavano (“La tua musica non vale niente… ti uccideremo, Brian”). «Le voci non spariranno — concluse — quindi devo assicurarmi di non sparire io per colpa loro».
Nell’ottobre 1975 la moglie Marilyn ingaggiò il terapeuta Eugene Landy. Questi, che era affascinato dal mondo delle celebrità, diagnosticò subito una schizofrenia paranoide e avviò un regime intensivo: la terapia “24 ore su 24”: colloqui, farmaci, dieta, fitness e una squadra di assistenti sempre intorno a Brian. All’inizio i risultati furono positivi: Wilson rientrò e produsse 15 Big Ones (1976), primo album accreditato esclusivamente a lui dai tempi di Pet Sounds. Ma comparvero presto gli sconfinamenti di Landy, che pretendeva di supervisionare le riunioni del gruppo e promuoveva alcune idee artistiche, arrivando a dire cose come “Brian e io l’abbiamo fatto insieme”, millantando quindi di avere collaborato con l'autore a vari pezzi. Anche i costi schizzarono: 10.000 $/mese, che divennero 20.000 $/mese (circa 58.000/110.000 $ attuali). A fine 1976 la collaborazione si interruppe. Nel 1977 Brian affermò di ritenere di aver ricevuto da Landy un aiuto reale ma anche di avergli reso il controllo. Dopo un’intensa fase creativa (e il quasi solo-album The Beach Boys Love You) Wilson ricadde in uno scompenso.
Il weekend perduto

Anche Lennon sembrò aver beneficiato del trattamento. Un anno dopo Plastic Ono Band, realizzò il suo album di maggior successo, Imagine (1971). La terapia si interruppe per questioni di immigrazione: John fu costretto lasciare il Paese e chiese a Janov di mandargli un terapeuta in Messico, ma la richiesta venne respinta. Janov affermò che John fosse stato “aperto” senza avere avuto il tempo di “ricomporlo”, collegando a ciò il successivo “lost weekend” . Il “Lost Weekend” è il nome ironico con cui John Lennon definì i suoi 18 mesi di separazione da Yoko Ono, dall’autunno 1973 all’inizio del 1975. Dopo tensioni personali e creative, Yoko propose al marito una “separazione controllata”. Lennon andò a vivere e lavorare a Los Angeles con May Pang, la giovane assistente della coppia. Fu Yoko Ono a metterla al suo fianco, proponendole esplicitamente di occuparsi di John e incoraggiando (almeno all’inizio) una relazione fra i due. Tra notti alcoliche col cantautore Harry Nilsson, session caotiche col produttore Phil Spector, risse e figuracce - celebre l’espulsione dal Troubadour per aver disturbato i Smothers Brothers - , il lost weekend fu un periodo veramante selvaggio. Il momento della svolta fu il 28 novembre 1974, quando, per onorare una scommessa con Elton John - suonarecon lui dal vivo se il loro singolo Whatever Gests You Throgh The Night fosse arrivato al n.1 della classifica - , Lennon salì sul palco del Madison Square Garden. Dietro le quinte rivede Yoko e da lì cominciò il riavvicinamento. All’inizio del 1975 Lennon rientrava a vivere con Yoko, uscì l'album di cover Rock ’n’ Roll, e il 9 ottobre 1975 nasceva il loro figlio Sean. John si ritirava del tutto dalla musica per alcuni anni per fare il “casalingo”.
Col tempo, lo stesso Lennon ridimensionò l'importanza della Primal Therapy: la Primal era “solo un altro specchio”; “la musica non la scrive l’acido, né Janov, né il Maharishi… la scrivo io nelle circostanze in cui mi trovo”.
Solo, spaventato e terrorizzato

Il lost weekend di Wilson è durato tutta la sua vita, con brevi intervalli. Dopo anni di abuso, nel 1982 Wilson ebbe un’overdose. Il manager Tom Hullett pensò di richiamare Landy, che questa volta pretese potere totale sulle decisioni personali e artistiche del paziente, e una nuova tariffa—fino a 35.000 $/mese (oltre 100.000 $ attuali). Di fatto si fece attribuire poteri legali da tutore, con la gestione di ogni aspetto della vita di Brian imponendo routine coercitive: sveglie con acqua fredda, frigorifero chiuso col lucchetto, esercizio forzato, sorveglianza h24 da parte di assistenti sparsi per la casa. Sul piano clinico, impose una ipermedicalizzazione: sedativi per tenerlo “tranquillo”, stimolanti nei periodi di lavoro. Sul piano relazionale, ordinò l'isolamento: limitò i contatti con famiglia e con i Beach Boys (“non gli piace che io senta troppo la mia famiglia”, disse Brian).
Tra 1984 e 1988 si perpetrò una vera e propria appropriazione creativa da parte di Landy, il quale dichiarò di “influenzare tutto il suo pensiero” ed essere “praticamente nella band”. Sul debutto solista del suo paziente esclusivo, Brian Wilson (1988), Landy era accreditato come co-autore di cinque brani, tra cui Love & Mercy, e la moglie Alexandra Morgan di tre, oltre a dichiararsi executive producer. Tutti questi crediti furono rimossi nella ristampa del 2000. Il terapeuta pretese inoltre quote editoriali (anche un quarto delle royalties su alcuni brani); il secondo album Sweet Insanity, fu rigettato anche a causa dei testi di Landy e per l'infelice rap Smart Girls, la cui presenza in playlist è da attribuire alla sua insistenza per una simile performance. È un esempio lampante di millantato credito e cooptazione dell’opera più che di ispirazione artistica. Il disco rimase quindi inedito (è disponibile solo come bootleg).
Nel 1986 Brian conobbe Melinda Ledbetter, una rivenditrice di auto. Entrò nella sua vita quando lui entrò in una concessionaria Cadillac con Landy e i suoi. Comprò un’auto da Melinda e le consegnò un biglietto con scritto: «lonely, scared and frightened» (solo, spaventato e terrorizzato).
Lei capì che il cantante era pesantemente sedato e nei guai. Iniziò così un’amicizia che divenne poi una relazione. Avvedutasi del controllo di Landy, la Ledbetter lo segnalò alle autorità e ai parenti, in particolare alla madre e al fratello di Brian, aiutandoli a raccogliere elementi contro Landy. Nel 1989 Landy, avvedutosi del pericolo costituito dalla donna, vietò a Brian di vederla, ma nello stesso anno la California gli revocò la licenza. La situazione raggiunse il limite quando la famiglia scoprì un testamento che avrebbe garantito a Landy fino al 70% del patrimonio di Brian. Scattò una azione legale e un ordine restrittivo (1991). Con Landy fuori scena, Melinda e Brian si ritrovarono e si sposarono nel 1995; dal 1999 lei diventò sua manager. Brian venne quindi rivalutato da un nuovo medico, Steve Marmer, che rivide la diagnosi come disturbo schizoaffettivo e disturbo bipolare. Con terapia adeguata e farmaci corretti, Wilson migliorò. Brian aveva paura di fare nuova musica finché il suo nuovo medico non lo aiutò a ritrovare l’equilibrio. Liberato da Landy, tornò quindi in studio e sul palco. Nel 2004 rielaborò finalamente il mitico album Smile - uscito ora come come Brian Wilson Presents Smile - l'album che non veniva mai pubblicato per l'ossessivo perfezionismo. Ottenne le migliori recensioni che avesse mai avuto dagli anni '60.
Nel 2024 Melinda Ledbetter è morta e a Wilson è stata diagnosticata la demenza, e a ciò seguì l' attivazione di una amministrazione di sostegno (conservatorship). Wilson è morto nel 2025. Le sue memorie su Landy restavano contraddittorie: oscillavano tra il “mi ha salvato” e il ricordo della “infelicità” e della “tortura” che questi gli aveva portato.
Terapie folli

La terapia di Lennon rese celebre Janov, che iniziò ad essere intervistato, a comparire in talk show ed avere altri clienti famosi. Ciononostante, negli anni ’80 la terapia primordiale venne rigettata dal mainstream: Psychology Today la definì “jabberwocky” (farneticazioni). Ne seguì una causa da 7 milioni di dollari; l’American Psychological Association (APA) la catalogò come tecnica non validata e non raccomandata. Janov morì a 93 anni nel 2017. Per lo psicologo John C. Norcross, egli fu “il terapeuta carismatico giusto al momento giusto… ma non c’è evidenza che urlo e catarsi diano sollievo duraturo”. Per Jonathan Engel, Janov fu un ciarlatano che intercettò una domanda culturale e la monetizzò, manifestando le derive settarie (cult-like) del suo metodo.
Resta comunque un lascito pop che va oltre l'album di Lennon. Una band ha scelto di chiamarsi Primal Scream e un'altra, i Tears for Fears, deve la sua ragione sociale (le "lacrime di paura" espresse durante la terapia), i temi del primo album e gran parte della propria poetica iniziale alla Primal Therapy di Janov.
Quanto a Landy, senza licenza in California, lavorò in New Mexico e Hawaii fino alla morte, nel 2006, per polmonite come complicazione di un tumore al polmone, non lasciando alcuna eredità scientifica, neppure discussa come quella di Janov. La sua relazione con Wilson è al centro del biopic Love & Mercy del 2104 con John Cusack e Paul Giamatti.
Il libro Crazy Therapies: What Are They? Do They Work? (1996) di Margaret Singer e Janja Lalich è una sorta di mappa delle pratiche psicologiche e pseudoterapeutiche più eccentriche, ingannevoli o pericolose emerse soprattutto dagli anni ’60 in poi. Le “terapie folli”, secondo le autrici, presentano segnali ricorrenti: spiegazioni semplicistiche per problemi complessi, promesse assolute (“la cura definitiva”), brandizzazione (istituti con marchi proprietari), onorari elevati, rifiuto dal confronto scientifico e poche evidenze. La Primal degli anni d’oro combacia perfettamante con questa tipologia: fondatore carismatico, Janov, paradigma totale (“il dolore primario spiega quasi tutto”), l'istituto è legalmente legato al proprietario che ne detiene i diritti, e una retorica iperbolica. Che la catarsi possa dare sollievo e spinta creativa (lo dimostra Plastic Ono Band) non significa anche che essa curi. “Aprire” traumi senza adeguata integrazione può generare iatrogenia—come ammise lo stesso Janov (“lo avevamo aperto e non c’è stato tempo di ricomporlo”). Le posizioni critiche (APA, Norcross, Engel, Singer & Lalich) spiegano perché la Primal sia oggi considerata una pratica debole e con tratti settari. In definitiva, tanto la relazione Janov-Lennon che quella Landy-Wilson possono essere viste come dei culti con un unico adepto. Che Landy e soprattutto Janov avessero altri clienti non implica che la relazione coi loro più famosi pazienti non avesse questa connotazione. Questo è particolarmente evidente nel caso di Landy, che presenta tutti i crismi del narcisista manipolatore, tipici del guru.
Per Janja Lalich, una setta (cult) non si definisce tanto dal contenuto delle sue credenze, quanto dalla struttura di potere e dalle dinamiche di controllo al suo interno. Lalich descrive una setta come un sistema chiuso, guidato da un leader carismatico o da una leadership ristretta, che esercita un’influenza pervasiva sulla vita dei membri. Sono quattri i criteri: autorità carismatica, credenza trascendente, sistemi di controllo, sistemi d’influenza. La parabola Landy li mostra tutti:
Autorità carismatica: si proclama salvatore, parla al posto di Brian, si accredita come co-autore e quasi un componente dei Beach Boys.
Credenza trascendente: la “24-hour therapy” diventa un mondo totale (clinica, lavoro, finanze, affetti)—una religione terapeutica personale con un solo sacerdote.
Sistemi di controllo: la sorveglianza h24, le sveglie coercitive, il frigo chiuso col lucchetto, il gatekeeping su telefonate e incontri, l'isolamento dai legami primari, o ruoli plurimi e incompatibili del terapeuta/manager/coautore/tutore, con conflitti d’interesse strutturali.
Sistemi d’influenza: le ricompense (visibilità, lavoro) e le minacce implicite (“senza me ricadi/ ti ricovero”), la gestione del racconto (interviste, memoir), la pressione economica (parcelle esorbitanti, quote editoriali, la pretersa di essere beneficiario del 70% del patrimonio nel testamento).
È un manuale di dinamica settaria in setting clinico.
Questa situazione è invece molto più sfumata nella Terapia Primaria di Janov, che risulta più una pseudoterapia caratterizzata dalla "credenza trascendentale" (punto 2) e dal rapporto carismatico (punto 1).
Con Landy vediamo la deriva settaria della clinica: erosione dei confini professionali, pluri-ruoli incompatibili, controllo ambientale e dipendenza. È l’abuso del potere terapeutico.
Con Janov vediamo la deriva ideologica a fuga settaria: una teoria-soluzione seducente, alimentata da una grande narrazione totalizzante e dal carisma che colmano (male) il vuoto di prove.
Oh, Yoko!

Prima di Janov, Lennon aveva già consegnato il suo caos a un altro “salvatore”: il Maharishi Mahesh Yogi e la sua Meditazione Trascendentale. Nel 1968 si era recato con gli altri Beatles ad un ritiro in India, ma la luna di miele finì presto: lasciò l’ashram in anticipo, deluso da dinamiche interne e dalle voci che il guru non fosse poi così puro e casto. Scrisse Sexy Sadie come satira del Maharishi. È il copione che tornerà con Janov: un bisogno feroce di ordine, l’abbraccio a un’autorità carismatica, poi l’inevitabile disincanto.
L’affidamento totale di Lennon a Janov ricalca una propensione più ampia dell’artista a gravitare attorno a figure in grado di imporre un ordine nel suo caos interiore. In questo schema, la relazione con Yoko Ono rappresenta l’esempio più emblematico. Fu lei, non solo a introdurlo all’uso dell’eroina, ma anche a immetterlo in un fitto ecosistema di credenze e rituali che mescolavano pratiche mistiche orientali e superstizioni personali: oroscopi, I Ching, microbiotica, numerologia. Quest’ultima trovava terreno fertile nella già nota fissazione di John per il numero 9, che egli interpretava come segno ricorrente e quasi profetico nella propria vita.
Yoko applicava anche il katatagae — il tabù giapponese delle direzioni — affidandosi a consulenti di fiducia per determinare rotte “auspicievoli”. Accadeva così che, per scongiurare presagi sfavorevoli, Lennon dovesse a volte fare dei giri completi del globo e dirigersi in direzione opposta alla destinazione, per raggingere destinazioni vicine.
Questa attenzione quasi maniacale a simboli e presagi non era semplice eccentricità: consolidava il ruolo di Yoko come gatekeeper, gestendo l’agenda, filtrando i contatti, prendendo decisioni operative e strategiche.

La mancanza di confini e la fusionalità con Yoko era tale che Il 22 aprile 1969 John firmò un atto ufficiale (deed poll) a Londra per aggiungere “Ono” come secondo nome: da John Winston Lennon divenne John Ono Lennon. Per Lennon, questa simbiosi era un rifugio: la loro unità di coppia — espressa nel manifesto “I just believe in me, Yoko and me” — gli forniva una cornice rassicurante, una barriera contro il caos del mondo esterno e contro la propria instabilità emotiva. Ma tale protezione aveva un costo: la crescente dipendenza affettiva e operativa lo rese vulnerabile a un controllo quasi totale, lasciando che l’autonomia creativa e personale fosse filtrata, se non determinata, dalla presenza e dalle scelte di Yoko.
Da quanto scritto, si evince che il vero guru di Lennon era Yoko, ben più di Janov. La sua funzione di gatekeeper e di gestore totale della vita di Lennon rendono Yoko omologa a Landy nella sua relazione con Wilson. Riprendendo i criteri della Lalich, le si applicano tutti perfettmante. Yoko è autorità carismatica per Lennon, lo ha introdotto ad un sistema di credenze trascendentale, applicava su di lui un totale controllo - si pensi alla scelta perfino dell'amante che gli mise accanto durante la "separazione controllata" del lost weekend - e praticava un sistema di influenza con ricompense, minacce e tramite la gestione del racconto (funzione di gatekeeper).
I didn't want to hurt you
I modelli operativi interni (internal working models) sono rappresentazioni mentali profonde, sviluppate nei primi anni di vita attraverso l’interazione con le figure di attaccamento, che influenzano come percepiamo noi stessi, gli altri e le relazioni. Funzionano come mappe implicite: se nell’infanzia il caregiver è stato affidabile e responsivo, il modello tenderà a essere positivo (“sono degno di amore, posso fidarmi degli altri”); se invece è stato incoerente, distante o rifiutante, il modello può essere distorto, portando a diffidenza, ansia o evitamento. Senza alcuna pretesa diagnostica, possiamo tentare una lettura delle vicende umane di Lennon e Wilson attraverso questa lente.
Lennon cresce tra assenza (il padre Freddie) e incoerenza (la madre Julia, probabilmente bipolare, che appare, scompare e poi muore). Questo è il terreno tipico di un attaccamento insicuro-resistente. Ciò comporta una forte protesta alla separazione dalle figure di attaccamento - così ben espresso nella canzone che apre Plastic Ono Band - con un iniziale rintocco di campane a morte - : "Mama don’t go, Daddy come home" (Mother), paura del rifiuto e bisogno di fusione.
Wilson ha invece un padre iper-presente e punitivo (Murry) e una madre più periferica: combinazione che favorisce un attaccamento insicuro disorganizzato. L’attaccamento disorganizzato è una forma di attaccamento che si sviluppa quando la figura di accudimento, invece di essere fonte di protezione, è anche fonte di paura o disorientamento. Il padre di Brian, Murray Wilson, è una autorità invasiva e punitiva. Da un lato è lo stage father che trasforma il garage di Hawthorne in una sala prove, allena i tre fratelli all’orecchio e alle armonie, trova i primi ingaggi e imposta la macchina manageriale della band, dall'altro è un padre violento, che picchia i figli, li umilia, li sfida, li svaluta ("non hai fegato" diceva a Brian). Murry ha un occhio di vetro e, quando vuole imporsi, lo estrae davanti ai figli e li obbliga a guardare la cavità vuota. Il gesto, teatrale e crudele, congela la stanza: i bambini restano inchiodati tra disgusto e terrore, sapendo che quello spettacolo può preludere a urla o punizioni. In tour questo padre-padrone commina multe per le parolacce, per il consumo di alcol o per “cattive frequentazioni”. In studio la sua intrusività è ben rappresentata dal celebre nastro della incisione di Help Me, Rhonda, nel quale si sente Murry intervenire in maniera incalzante dal talkback con critiche e interruzioni mentre Brian cerca di dirigere i musicisti. La pressione culmina col licenziamento di Murry come manager: un taglio necessario, che però non spegne la sua voglia di controllo — pubblica un proprio LP (The Many Moods of Murry Wilson) e tenta di lanciare altri gruppi, continuando a orbitare attorno ai Beach Boys.
Nel 1969 Murry vende, senza preavviso, il catalogo editoriale dei Beach Boys (Sea of Tunes) a terzi, privando Brian di una parte sostanziale del valore futuro delle sue canzoni. Per Brian è un tradimento doppio: sul piano affettivo, perchè il padre “monetizza” l’opera del figlio, incurante del suo volere e sentire, e su quello professionale, perchè così l'autore perde il controllo sui diritti. Gli strascichi legali di questa storia dureranno anni.
Il tutto esita, o almeno contribuisce a tale esito, in un quadro psicologico caratterizzato da un perfezionismo ossessivo (sovraincisioni meticolose, ricerca maniacale del blend vocale). Sembra che il bisogno di controllo sonoro sia un rituale per premunirsi contro l'insuccesso. Non sorprende che le voci nella testa di Brian avessero spesso il timbro del padre e fossero svalutanti come erano di solito le sentenze di quest' ultimo. Non a caso, la stanza di registrazione diventa l’unico luogo davvero sicuro: lì le voci “si placano”, e da lì nascono architetture come Pet Sounds, “Good Vibrations” (cin il fanisi metodo “modulare”), sfociando nell ’ambizione vertiginosa — poi crollata proprio sotto il peso del perfezionismo — di Smile.
Anche i testi di Wilson riportano tracce di questa dialettica. In My Room è un manifesto dell'isolamento, un'ode del rifugio, al porto sicuro: la camera come spazio protetto dal giudizio e dal caos. I’m Bugged at My Ol’ Man si sublima in chiave grottesca l’abuso domestico. In altri brani, da Till I Die alla malinconia che attraversa Pet Sounds, affiora la vulnerabilità di un figlio che cerca appartenenza senza dover pagare il prezzo della sottomissione.
In età adulta, l’attaccamento disorganizzato può tradursi in relazioni caratterizzate da forte ambivalenza: desiderio intenso di legame ma paura del rifiuto o del controllo, difficoltà a fidarsi, oscillazioni tra idealizzazione e svalutazione dell’altro, e talvolta comportamenti autodistruttivi.
Le strategie adulte di regolazione sembrano aver portato Lennon a tendere alla co-dipendenza con figure totalizzanti (Yoko, il Maharishi Yogi, Janov); la fusione “Yoko and me” funziona come base sicura surrogata che placa l’ansia ma riduce l’autonomia. La Primal agisce da correttivo momentaneo, ma senza produrre una integrazione stabile. Wilson alterna invece ritiro e sottomissione a caregiver autoritari: con Landy ripete il copione del padre (controllo, umiliazione, premio/castigo) La relazione con Melinda e una cura non coercitiva sembrano avergli fornito finalmente una base sicura che ne ha migliorato il funzionamento e l'adesione terapeutica.
Lennon cerca fusione per non essere abbandonato; Wilson ricerca il controllo per non essere punito.
All you need is love

La ricercatrice Alexandra Stein, ex membro di un culto, ha sviluppato una teoria che collega direttamente la teoria dell’attaccamento alle dinamiche di reclutamento e mantenimento all’interno delle sette. L’attaccamento insicuro aumenta la vulnerabilità a leader carismatici/terapeuti invasivi, specie quando offrono contenimento rapido. Ma quello che questi leaders fanno non è altro che ricreare un nuovo attaccamento disorganizzato. Nei culti, il leader o il gruppo assumono il ruolo di figura di riferimento primaria, ma sono al tempo stesso fonte di “protezione” e di minaccia.
Questa doppia funzione — sicurezza apparente e paura reale — genera nel seguace lo stesso conflitto irrisolvibile tipico dell’attaccamento disorganizzato infantile: il bisogno di avvicinarsi per sentirsi al sicuro che si scontra con l’ansia e il timore provocati proprio da quella fonte di “protezione”. Nel caso di Eugene Landy e Brian Wilson, per esempio, possiamo vedere chiaramente lo schema che Stein descrive: Landy si proponeva come figura salvifica — il terapeuta che avrebbe curato Wilson dai suoi disturbi — ma allo stesso tempo era fonte di paura e instabilità, imponendo un controllo pervasivo sulla sua vita, limitando contatti esterni, gestendo le finanze e perfino interferendo nelle decisioni artistiche. Lo stesso modello si applica a relazioni come quella tra John Lennon e Yoko Ono: Yoko fungeva da filtro e regolatrice dell’intero ecosistema relazionale e creativo di Lennon, al tempo stesso fornendogli sicurezza e imponendo rituali e credenze che rinforzavano la sua dipendenza. In entrambi i casi, l’“oggetto” dell’attaccamento era anche la fonte di controllo e limitazione, riproducendo quel loop di avvicinamento-paura che Stein individua come il cuore del vincolo settario.
Alla luce della teoria dell’attaccamento e delle analisi di Alexandra Stein e Janja Lalich, è evidente che tanto Lennon quanto Wilson hanno cercato nella relazione terapeutica o affettiva un surrogato di base sicura, trovandosi invece in un attaccamento disorganizzato con un leader manipolatore. È in questo cortocircuito che urla, "buone vibrazioni" e controllo si saldano, lasciando dietro di sé opere immortali ma anche la prova di quanto il potere senza limiti possa essere pericoloso quanto la ferita che pretende di sanare.


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